Con sentenza del 29 luglio 2016, n. 247 il Consiglio di giustizia amministrativa, riformando la sentenza di primo grado del TAR Sicilia, ha accolto il ricorso delle imprese Soredil s.r.l. (Agrigento), CEPI s.r.l. (Favara), ICAM (Favara) e Akrapark (Aragona), difese dagli avvocati Prof. Salvatore e Luigi Raimondi, annullando nel modo più totale le informazioni antimafia interdittive emesse nel 2012 nei confronti delle predette imprese, concepite dalla prefettura di Agrigento con una costruzione di presunte infiltrazioni mafiose che il giudice di appello ha ritenuto assolutamente insussistenti.
La corposa sentenza (35 pagine) si segnala per la sua innovatività rispetto alla precedente giurisprudenza amministrativa secondo la quale l’informativa antimafia avrebbe carattere meramente cautelare sicché potrebbe essere emessa sulla base di semplici sospetti, addirittura con la formula “non si può escludere” che ci siano pericoli di infiltrazione mafiosa. Nella sentenza in oggetto si riconosce invece che l’informativa ha carattere afflittivo tanto che determina la morte dell’impresa. Ancora più afflittivo delle “misure di prevenzione” (come il divieto di soggiorno e l’obbligo di soggiorno) le quali peraltro, diversamente dalle informative antimafia, hanno una durata limitata nel tempo.
Il caso della Soredil, facente capo a Giuseppe Sorce ed ai figli Giovanni e Benedetto è paradigmatico. Giuseppe Sorce era da anni impegnato quale presidente provinciale e vicepresidente regionale dell’ANCE per l’affermazione della legalità. La Soredil quale capogruppo dell’associazione temporanea di imprese costituita con CEPI e ICAM, a seguito di gara nel 2011 si era resa aggiudicataria, presso il comune di Agrigento, della concessione per la progettazione e realizzazione del completamente e della gestione del parcheggio pubblico pluripiano ubicato in piazzale Rosselli. Colpita nel 2012 dall’informativa antimafia interdittiva emessa dalla prefettura di Agrigento si è vista revocare l’aggiudicazione e rescindere la convenzione stipulata con il Comune.
L’informativa era motivata con riferimento a “frequentazioni” con presunti “soggetti controindicati”. Nella sentenza si chiarisce che perché si abbia un tentativo di infiltrazione mafiosa occorre che venga individuato (almeno) un autore o mandante dell’azione rivolta alla realizzazione dell’evento pericoloso, che tale soggetto rientri in una delle categorie individuate dalla legge che consentano di qualificarlo come mafioso o presunto mafioso, che vengano individuati e descritti gli atti idonei, diretti in modo non equivoco, a conseguire lo scopo di condizionare le decisione dell’impresa e della società che subisce l’infiltrazione. Non è sufficiente al riguardo affermare nel provvedimento interdittivo, si precisa, che un determinato soggetto è stato notato accompagnarsi con un soggetto malavitoso. Occorre precisare la ragione tecnica per la quale quest’ultimo va considerato mafioso e le ragioni logico giuridiche per le quali si ritiene che si tratta non di un mero incontro occasionale, o di incontri sporadici, ma di frequentazione effettivamente rilevante ossia di relazione periodica, duratura e costante volta ad incidere sulle decisioni imprenditoriali.
Elementi del tutto assenti nell’informativa della prefettura di Agrigento nella quale non viene indicato il mafioso o presunto mafioso che avrebbe agito per conseguire l’infiltrazione. Non vengono individuati gli atti idonei diretti in modo non equivoco a condizionare le scelte imprenditoriali della società. In particolare, in relazione all’amministratore unico della Soredil, Giovanni Soce, non si evincono le circostanze spaziotemporali in cui sarebbero avvenuti gli “incontri” con soggetti controindicati, né la ragione per la quale i predetti incontri sono stati ritenuti indici rivelatori della volontà di incidere sulle scelte dell’impresa. Il rapporto di parentela delle persone che l’interessato avrebbe incontrato con soggetto “diffidato”, qualificato come “soggetto di interesse operativo” non costituisce un indice rilevante in mancanza di condotte volte a realizzare i presupposti per il condizionamento mafioso.
Il Consiglio ha ritenuto altresì fondate le censure delle imprese ricorrenti in relazione alle presunzioni a carico dell’amministratore unico della CEPI, essendo irrilevante il fatto che egli sia cognato di un soggetto denunziato per turbata libertà degli incanti posto che la semplice imputazione non rileva mentre ciò che rileva è la condanna.