Con sentenza del 5 giugno 2018, n. 337 il Consiglio di Giustizia amministrativa ha respinto l’appello della Prefettura di Palermo avverso la sentenza del TAR Sicilia che annullava l’informativa prefettizia interdittiva emanata nei confronti di una impresa attiva nell’importazione, distribuzione, lavorazione e vendita di tondo per cemento armato qualificato, legnami da costruzione ed altri materiali per l’edilizia. (difesa dagli avv.ti Salvatore e Luigi Raimondi).
Segnatamente “ il Collegio ritiene che il provvedimenti interdittivi impugnati con il ricorso introduttivo della società odierna appellata sono illegittimi in quanto adottati sulla base di elementi che non sono significativi del pericolo di infiltrazione mafiosa, non presentando quei requisiti di concretezza e di attualità da quali può legittimamente desumersi il pericolo che l’attività della società possa essere infiltrata dalla mafia.
Non conducenti sono i richiami a elementi ritenuti indicativi della permeabilità della società alla mafia se non accompagnati da riscontri e precisazioni dai quali possa dedursi il pericolo che le attività economiche siano permeabili agli interessi della malavita organizzata.
Tale conclusione riguarda la presenza del numero di telefono della società nell’agenda elettronica di altra società di costruzione, fatto di per se stesso poco significativo.
Parimenti non rilevante è l’aver intrattenuto, in ragione delle attività di impresa svolte dalla società appellata, rapporti commerciali con altre società nella disponibilità della mafia se non accompagnate da riscontri che lascino intendere che sussiste il pericolo di infiltrazione anche nei confronti della società appellata.
Ancora, la disponibilità di un appartamento da parte della società ubicato nello stesso stabile dove avvenivano incontri tra esponenti di spicco della mafia non assume il significato che emerge nel provvedimento interdittivo, atteso che detto appartamento non è adiacente e risulta acquistato molti anni prima, in un tempo non sospetto”
Inoltre, non conducente è la vicenda nella quale l’amministratore unico della società appellata avrebbe acconsentito alla riduzione del prezzo rispetto a quanto già pattuito, in favore di un’impresa facente capo al clan capeggiato da Riina Giuseppe Salvatore (cl. 77).
“Nei provvedimenti prefettizi impugnati si fa riferimento all’episodio della riduzione del prezzo già pattuito in una misura pari a £. 60 e ricostruita citando il provvedimento del GIP (ordinanza di custodia cautelare in carcere del 2002)”
Al riguardo “Il Collegio ritiene che non vi sono ragioni per disattendere l’approdo giurisprudenziale secondo cui i provvedimenti interdittivi che si fondano su un presupposto risalente nel tempo non sono ammissibili senza che “dall’analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’attività di impresa” (così, Cons. St., III, sentenza n. 2327/2017; sull’attualità degli elementi indizianti: Cons. St., V, sentenza n. 4053/2017)). Come chiarito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, “se dall’esame dei fatti più recenti non esce confermata l’attualità del condizionamento, pur ipotizzabile sulla base dei fatti più risalenti, l’informativa deve essere annullata” (così, Cons. St., III, n. 2085/2017; sul punto anche Cons. St., sez. III, 13.3.2015, n. 1345) / L’autorità prefettizia non ha accompagnato il richiamo all’ordinanza cautelare del 2002 con ulteriori riscontri che fra il 2002 e il 2016 avrebbero ben potuto comprovare la sussistenza del pericolo che le attività dell’impresa siano infiltrate dalla mafia….”
“Né particolare significati possono essere attribuiti agli altri elementi richiamati nei provvedimenti interdittivi impugnati che in qualsiasi modo ricostruiti non presentano quei caratteri di concretezza di cui al comma 6 dell’art. 91 del d.lgs. n. 159/2011”